Ruolo e funzione del disc-jockey nella programmazione radiofonica RAI – Capitolo 1/Dalle big band al rock’n’roll: una sintonia inedita, 1988, Mauro Boccuni

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Panorama storico della genesi e dello sviluppo del  ruolo del disc jockey nella programmazione radiofonica

 

Dalle big band al rock’n’roll: una sintonia inedita

 

La nascita della oramai affermata, figura del disc jockey “II fantino che cavalca il disco e lo porta al successo” (Arbore R.,’citato in Selz C., 1975) ha costituito un fenomeno di incalcolabile portata economica, nonché artistica e sociale.

Disc-jockey è un termine con il quale si definiva originariamente  una qualifica professionale riguardante l’utilizzo di materiale discografico da parte di un operatore ( o operatrice) radiofonico addetto alla conduzione di uno spazio musicale.

Va aggiunto che la definizione riguarda anche l’animatore da discoteca, termine con il quale sono stati chiamati i piccoli club sorti all’inizio degli anni sessan­ta, che a causa delle ridotte dimensioni del locale non potendo ospitare un gruppo musicale (See David, 1981) in sostituzione installavano un impianto di diffusione discografico gestito da un tecnico. L’uso di quésto tipo di apparecchiature nella sale da ballo crebbe proporzionalmente alla convenienza economica della trasformazione dei locali, che, in “tal modo  richiedevano una  gestione contenuta  dei costi, ottenendo un considerevole aumento dei profitti (See .David, 1981).”  Tuttavia il prototipo del conduttore  che rende attuale la programmazione di una selezione musicale registrata su disco, risale al periodo storico del consolidamento del modello radiofonico americano: il network.

Nello spazio di tempo compreso tra il 1927, anno dell’emanazione dalla legge di regolaménto della radiofonia nazionale americana (Radio Act) e la conclusione del 2° conflitto mondiale, vennero poste le fondamenta dell’orga­nizzazione produttiva commerciale dèi modello.

La principale ed unica fonte di entrata delle reti radiofoniche americane, estesa in seguito anche al sistema televisivo, è sempre stata rappresentata dalla vendita di una certa quantità di spazio orario agli inserzionisti pubblicitari.

In questa logica si sviluppò il sistema a rete (Network) che è formato da una catena di stazioni locali affiliate ad un centro di produzione e di distribuzione tramite cavi di connessione forniti dal servizio telefonico.

Il rapporto simbiotico tra il medium radiofonico e l’afflusso di finanziamenti pubblicitari delle imprese multinazionali fu la conseguenza del carattere di bene pubblico[1] che in America venne assegnato al messaggio radiofonico, a cui si aggiunse la possibilità di individuare utenze da trasformare in voraci consumatori (Grandi R.,1980) In questo ingranaggio commerciale ben struttura­to, le stazioni locali non potevano che trarre; il massimo beneficio dalla rete, che permetteva loro di disporre di una regolare fonte di entrata pubblicitaria abbinata ad una cospicua percentuale di trasmissioni preconfezionate (Pro­grammi di rete).

Questi programmi giunsero a coprire addirittura il 60-70 % della programmazione quotidiana delle stazioni affiliate che nel giro di pochi anni videro ridotto il proprio potenziale di difesa dell’autonomia territoriale dalla supremazia del potere commerciale delle reti, (Grandi R,, 1980). L’incremento del numero degli ascoltatori, che il crescente entusiasmo per la novità del mezzo suscito, provocò un aumento di richiesta dei programmi.

La stabilità del processo produttivo della radio  degli anni trenta e quaranta  venne raggiunta solo tramite  l’adozione dei criteri più diffusi in quella che venne  definita “industria culturale”(Horkheimer, Adorno, 1974, citato in Wolf, 1985)

II termine venne adoperato per la prima volta nel 1947 da Theodor W, Adorno e Max Morkheimer all’interno del volume “Dialettica dell’illuminismo”.

Nel corso del loro soggiorno statunitense, i due pensatori tedeschi avevano avuto modo di cogliere le conse­guenze sociali del dominio esercitato dalla tecnocrazia dell’illuminismo capitalistico, che per realizzare i suoi obiettivi richiedeva una lenta e consapevole accettazione da parte dei consumatori dei valori più funzionali al consoli­damento del sistema civile venuto stabilendosi,

L’espressione industria culturale aveva sostituito nei primi appunti della stesura del testo sopraindicato quella di cultura di massa per evitare che il lettore supponesse di avere a che fare con delle riflessioni su “una forma contemporanea di arte popolare”.

Infatti gli autori del saggio intendevano riferirsi alla diffusione della crescita della quantità e della qualità di uno stile di consumo che supponesse una logica di risparmio dei costi di produzione industriale attraverso l’adattamento ciclico di uno schema pre-confezionato.

A questo genere di sistema, di cui facevano parte il settore cinematografico e la letteratura di appendice, oltre a quello radiofonico, venivano attribuiti gli effetti nefasti di un pubblico ridotto ad essere consumatore/oggetto di un formato[2] produttivo stereotipato e ripetitivo. (Horkheimer, Adorno, 1974)

I programmi radiofonici pertanto sono stati soggetti al “principio della parsimonia”, consistente nella realizzazio­ne di trasmissioni cicliche regolari settimanali e giornaliere (II genere delle soap opera, ad es., di programmi ripetitivi a formato (II caso delle trasmissioni musicali), e nel riciclaggio di materiale già trasmesso.

In questo ambito, il genere di trasmissione più gradito rimaneva la selezione di canzoni popolari, messa in onda facendo uso del supporto preregistrato, della cui realizzazione si occupavano alcuni studi specializzati (Grandi R. , 1980).

La nascita del ruolo del DJ trova le sue radici nella riorganizzazione di alcuni servizi radiofonici, modificati in seguito all’adozione del “principio della parsimonia” sopra considerato.

L’inserimento di questa importante funzione risale alla prima metà degli anni trenta e i primi due DJ showman che la storia della radio ricordi sono stati Al Jarvis e Martin
Block
(Grandi R,, 1980)        .

La natura commerciale del mezzo di comunicazione aveva esplicitamente ostacolato la diffusione di qualsiasi genere musicale che non fosse stato rapidamente utilizzabile vuoi per le caratteristiche d’impatto sonoro (“Sound” dell’arran­giamento orchestrale) che per il limite temporale di esecuzione e infine 1′orecchiabilità melodica. D’altronde, fin dalle prime radiotrasmissioni diffuse all’inizio degli anni venti, il mezzo aveva assolto al semplice scopo di esaudire la richiesta di quegli ascoltatori che desideravano ascolta­re la musica stando a casa, (Eco U,, 1964),

Solo con la consapevolezza dell’influenza esercitata dal mezzo, poterono essere prese in considerazione alcuni fondamentali funzioni basate sull’uso/consumo quotidiano della radio, Infatti, mediante la radio, le classi medie e popolari poterono ampliare la propria cultura musicale, approfondirono la conoscenza del repertorio, e furono stimolate a partecipare alla composizione di materiale musicale originale promosso dalla radio nel corso delle manifestazioni da lei stessa organizzate, (Eco U,, 1964)

Con l’introduzione del massiccio impiego del disco – a sua volta un medium che veicola il contenuto secondo le ferree leggi di uno standard produttivo affidabile – il radioascoltatore ebbe a sua disposizione un commento emoti­vo, un continuum indefinito ma funzionale allo scopo di accompagnare le attività quotidiane. (Eco U. 1964)

II disco sostituì l’evento di un’esecuzione orchestrale in diretta e il disc-jockey acquisì la sua duplice fonda­mentale funzione: con la propria presenza e il talento individuale, vivacizzava, rendeva attuale e sottolinea­va un appuntamento ciclico e ripetitivo. Quindi esortava implicitamente gli ascoltatori ad attribuire un’accresciuta fiducia alle selezioni musicali suggerite dal mezzo.

La storia della sua azione di mediazione tra i media e gli ascoltatori, nell’accezione di gruppi facenti capo a particolari sottoculture, è fortemente ancorata al suo valore di operatore sociale in senso lato.

Per operatore sociale si intende una persona che adopera gli strumenti messigli a disposizione dalla società nella quale e per la quale lavora, allo scopo di facilitare la comprensione di un argomento, di promuovere una manife­stazione culturale.

In questo senso,  il disc-jockey si  identifica con  il genere musicale sul quale richiama l’attenzione del gruppo d’ascolto, costituitesi  intorno ai valori etici  e  morali delle trasmissioni sociali  di cui l’evento  sonoro è una delle espressioni.

Il DJ soddisfa prevalentemente due esigenze di ascolto:

  • il sostegno dell’attività quotidiana per mezzo della musica “vivacizzata”
  • il bisogno di informazione musicale data dal DJ me­diante una forma di animazione.

Nelle due funzioni sopra riportate, devono essere tenute presunti l’azione e l’incidenza di altre due variabi­li quali le strategie economiche delle radio e i requisiti artistici, nonché la dinamica di apparizione/sfogo dei fenomeni musicali.

Nel primo caso, il DJ è al centro di un sistema econo­mico, il network di cui è obbligato contrattualmente a proteggere gli interessi, mentre nel secondo si pone in una dimensione di antagonismo rispetto alla logica conservatrice del mezzo.

II modello che la radio americana favorì nel periodo d’oro della sua evoluzione  cioè dal 1927 al 1940 ca. fu il primo.

Il Disc-Jockey era il coordinatore di diversi segmenti che costituivano gli ingredienti della formula Musical Clock (Pendola musicale) creata nel dopoguerra, con l’intenzione di rispondere alla  crescente domanda di  musica alla radio, (Grandi R,, 1980)

Musical Clock era un insieme di musica popolare, previsioni meteorologiche, segnali orari, notiziari informa­tivi e annunci pubblicitari a cui il disc-jockey aggiungeva il fascino di una dizione sicura e dal tono costante e confortevole. (Grandi R,, 1980)

Nell’intervallo di tempo che intercorse tra lo stile di conduzione di due disc-jockey pop come Al Jarvis e Martin Block che descrivevano “sale da ballo immaginarie” per ricreare 1’atmosfera di una grande sala da ballo” (Selz C,, 1969), e i programmi rock .di Alan Freed alla WJW di Cleveland, si era verificata un’importante trasformazione sociale nel campo della recezione musicale.

Prima dell’avvento del rock’n’roll, ogni programma radiofonico si ispirava ad una situazione dal vivo (esecu­zioni nei locali notturni di un solista ecc.), ed i1 genere musicale più diffuso degli anni ’30/’40 fu lo swing che ebbe nelle big band di Glen Miller, Benny Goodman,  Artie Shaw, Tommy Dorsey e Duke Ellington gli esponenti più rappresenta­tivi.

Lo swing si caratterizzò come particolare stile di jazz, la cui dislocazione degli accenti sulla battuta e la particolare vena melodica, veniva esaltata da un’esecuzione dinamica e gioiosa dei fiati, sostenuti da una ritmica agile, regolare e nervosa al tempo stesso.

“Lo swing forniva una magica combinazione di stimoli e di abbandono, in una forma soddisfacente. La gente era stanca del grigiore della depressione e andava in cerca di una forma di eccitazione” (Avakian G,?)

Le esecuzioni delle grandi orchestre di jazz preesiste­vano alla pubblicazione dei dischi, che a loro volta venivano ricavati dalle loro partecipazioni agli spettacoli radiofonici del sabato sera, In tal modo, offrivano un modello di riferi­mento ai conduttori musicali che utilizzavano i dischi,

II tempo dunque, la scansione ritmica dello stile musicale induceva il DJ ad adeguarsi al comportamento ritenuto più consono affinché l’audience potesse interpreta­re correttamente l’evento, accettare di buon grado la selezione proposta e riflettersi nelle scelte del perso­naggio radiofonico.

Ma per poter testimoniare l’efficacia di questo legame, bisognerà attendere l’inizio degli anni ’50.

L’unica vera rivoluzione nel settore, venne realizzata da un DJ che varcò la soglia della stazione WINS di New York nel settembre del 1954, adoperando lo stesso soprannome che aveva usato fino a pochi giorni prima a Cleveland, nella stazione della WJW (Sklar R:,1985). Gli ascoltatori lo chiamavano Moondog, ma da quel momento in poi sarebbe stato ricordato col suo vero nome: Alan Freed (Sklar R. , 1985).

Alan Freed era stato selezionato dal proprietario della WINS, Elroy Mc Caw in seguito alle voci entusiastiche che fin dall’Ohio  giungevano sulla  eccitante nuova  dimensione data alla radio (Sklar R,, 1985),

Freed era cresciuto all’epoca dello swing e aveva assorbito la lezione sul tempo che le grandi orchestre accostavano alla melodia (Sklar R., 1985).

Ma già verso il 1951, l’anno in cui Freed cominciava a farsi strada nella stazione locale di residenza, l’attrazio­ne suscitata dalle grandi orchestre jazz era andata scemando (Sklar R., 1985).

Infatti la musica che dominava la scena americana era costituita dal repertorio dolce e appiccicoso dei “crooner”: Da quel momento nessuno aveva recuperato il magico beat che veniva richiesto per ballare (Sklar R., 1985),

Freed decise di correre ai ripari, e non potendo contare sulla discoteca della stazione, priva del sound ricercato, si mise ad ascoltare tutte le ultime pubblicazio­ni a 45 giri del negozio di dischi della città (Sklar R.,1985).

II risultato fu che dopo essere, tornato alla radio con un centinaio di dischi editi nella stragrande maggioranza da etichette minori, fece una scommessa con sé stesso, e mise sul piatto un pezzo di quello che poi sarebbe stato etichet­tato come rhythm and blues (Sklar R, 1985).

Disco dopo disco il pulsare del beat aumentava e Freed stesso venne catturato a tal punto dal crescendo ritmico da accompagnare a tempo sul microfono aperto la scaletta musicale, scaricando in tal modo l’esperienza emotiva sul microfono (Sklar R, 1985),

Le reazioni degli ascoltatori furono immediate: le fazioni si divisero, ma una cosa era sicura: la crescita degli indici di ascolto[3] aveva raggiunto vette impensabi­li.

Nello stesso tempo, venne coniata e impiegata diffusa­mente l’etichetta musicale rock’n’roll che comparve per la prima volta nel titolo del programma condotto da Freed alla WINS di New York (Sklar R,; 1985),

Dal punto di vista etimologico, l’espressione “rock’n’roll” (Letteralmente “Dondola e Rotola” oppure “Dondola e Ondeggia”) sembra che debba essere fatta risalire al signi­ficato assunto dai due verbi nel titolo di un vecchio pezzo di blues My baby rocks me with a steady roll (La mia ragazza dondola con un rullio costante).

In realtà, il termine aveva fatto la sua comparsa a partire dalla fine degli anni trenta nel vocabolario allora in voga tra i musicisti che si erano cimentati con la composizione di brani da ballo, o canzoni che ne suggerivano solo il desiderio: Rock it for me cantata da Ella Fitzgerald con l’orchestra di Click Webb, Rock’n’roll un numero inserito nel film musicale Transatlantic Merry-go-round, e ancora Around the clock blues che venne incisa dalla cantante blues Bertha ‘Chippie’ Nili. (Buratti A,, 1981)

Tuttavia, la paternità della creazione del termine rivendicata da Alan Freed, può essere dichiarata legitti­ma, ss assumiamo come convenzione che la reale esistenza di un’espressione sia stabilita dalla pratica d’uso della collettività.

In questa accezione, Alan Freed ha contribuito a confermare le manifestazioni di un comportamento sociale che nel rock’n’roll, all’interno del vasto scenario della musica ‘pop’, aveva trovato il mezzo espressivo più immediato e congeniale.

Nel 1956, lo stesso anno dell’assunzione di Freed alla stazione radiofonica (indicare anno) WINS di New York, cominciava la scalata al successo di un cantan­te che avrebbe dato il titolo al primo film, e alla prima canzone rock’n’roll di enorme fortuna internazionale. .

Sto parlando di Bill Haley and his Comets che nel 1956 fece capire che era tramontato definitivamente un’epoca e ne era sorta prorompente un’altra.

Mentre il repertorio musicale precedente al R&B, e al rock’n’roll preesisteva alla logica di produzione, distri­buzione e fruizione del contenuto musicale veicolato, le nuove canzoni costituivano il fine e lo strumento di una logica commerciale ben congegnata.

Pochi avrebbero scommesso sull’impatto che il rock avrebbe avuto sui sistemi sociali in generale.

Quasi tutti i mezzi di comunicazione di massa comprese­ro la portata commerciale del fenomeno e si diedero da fare nel favorire il nascente interesse per il nuovo slogan delle generazioni di adolescenti: oltre al movie show per eccel­lenza Rock around the clock prodotto dallo stesso Alan Freed nel 1956, vennero girati un secondo e poi un terzo film
tutti incentrati sulle esibizioni degli artisti al momento più in voga (Sklar R., 1985).

Anche la televisione si cimentò nell’impresa di attira­re l’attenzione del giovane consumatore, proponendogli una simulazione del naturale rapporto tra i ragazzi e la musica, e la chiamò American bandstand (Betz C.,1969).

Tuttavia, nessuna di queste operazioni riuscì ad affascinare tanto gli ascoltatori quanto il radio disco-show con il quale i DJ lanciavano sul mercato il nuovo stile
musicale rock.

Il ruolo che i DJ radiofonici avevano pian piano assunto, oltre a facilitare la rapida diffusione del genere, aveva favorito l’assimilazione della inconsueta dinamica di ricezione della musica.

Accadde per la prima volta che un idioma folk musicale si esprimesse in primo  luogo attraverso i dischi e  la radio, media che  in questo caso  diventavano “risultati di per se stessi” (Selz C,, 1969),

Bisogna ricordare che il singolo a 45 rpm (rotation per minutes) minigroove a foro largo, sebbene fosse stato impiegato a scopo promozionale già durante gli anni quaranta, avrebbe acquisito un valore di praticità e di maneggevolezza nel consumo, a partire dalla nuova epoca radiofonica.

La scoperta del forte potenziale del long playing era lungo a venire e il limitato spazio del supporto a 45 giri aveva costituito una legittimazione delle breve durata della
canzone (2’30″/3′).

In breve sarebbe toccato alla logica strutturale del mezzo più che al contenuto veicolato alla radio/disco più che alla canzone, invitare la collettività ad accogliere le nuove indicazioni per una diversa esperien­za estetica.           

“I programmi radio generavano l’esperienza di una riunione folk (Blez C,, 1969)” e non la rappresentazione di un altro tipo di spettacolo, come accadeva nelle trasmissio­ni del passato. “Il rock, inoltre, si diffuse all’inizio solo attraverso i dischi, che divennero il legame primario e comune fra gli artisti ed ascoltatori” (Selz C,, 1969). ” Dunque, i suoni che il radioascoltatore assorbiva dall’altoparlante della radio, non venivano confusi con la freddezza della riproducibilità dell’esecuzione fissata sul nastro di registrazione, ma “erano realtà di per sé stesse”(Selz C., 1969).

Tuttavia, la dimensione di questa esperien­za peraltro affidata alle sensazioni del singolo  ascoltatore, venne chiarita e soprattutto incoraggiata dalla funzione del disc jockey (Selz C., 1969),

Il disc-jockey divenne promotore di uno stile di vita, di un’etichetta di valori che il sound del rock’n’roll suggeriva, e che l’eroe culturale caricava di enfasi,

A differenza dei disc-jockey più tradizionali che strutturavano un evento in anticipo, per assumere il ruolo di cerimoniere, il nuovo modello di DJ dimostrava doti di eccellente bravura improvvisativa. Le sue doti di abilità verbale e un carisma comunicativo non comune lo posero nell’invidiabile posizione di chi svolge un compito dal carattere eccezionale.

E per questo, l’autorità di cui era in possesso contri­buì a favorire il fenomeno di aggregazione della fascia di acquirenti di dischi più corteggiata d’America: i teenager.

“Nel 1958, la fascia di età dei divoratori di dischi cadde precipitosamente quando si calcolò che il 70% dei dischi erano acquistati dai giovani al di sotto dei vent’anni, la fascia dei teen appunto”. (Buzattì A,,1981)

Questa sottocultura, termine con il quale si indica una quasi-cultura, che non ha tradizioni e dignità sufficienti per elevarsi al livello della cultura ufficiale e che nei mass media si usa per riferirsi alle cosiddette sottoforme di espressione artistica (De Luigi M., 1980), trovava nell’esibizione del proprio eroe culturale, il DJ appunto, la ragione del senso di appartenenza al gruppo.

Il radio/disco show rappresentò l’oggetto di uno stile di consumo, di cui il teenager, come “giovane della classe operaia opposto ai giovani della classe media (Frith S.) era tenace sostenitore.

Nelle pagine introduttive del romanzo “Absolute beginners” dell’autore inglese Colin MacInnes, vengono riportate le sensazioni provate dal giovane fotografo protagonista e teenager: “Le feste da ballo dei teenager erano splendide. Noi ragazzi avevamo scoperto (…) di avere del denaro (…) e di averlo al momento giusto, quando sei giovane e forte. “(…) scoprimmo che nessuno poteva più metterti sotto, perche anche noi avevamo un sacco di soldi da spendere. Il nostro mondo sarà il nostro mondo (MacInnes
Colin, 1959).

Nelle affermazioni di una creazione narrativa, eletta a simbolo dell’esperienza di un’intera collettività, sono riassunti i costumi ed i valori che contribuirono a rendere significativa l’esistenza di un’insolita e potente categoria di consumatori.

Questi erano stati capaci di distinguersi dagli adulti per avere acquisito la coscienza di uno stile di consumo esclusivo, nel quale identificarsi.

Sebbene le parole dell’ambizioso protagonista del romanzo non rappresentino un’inconfutabile prova del vissuto quotidiano della fine degli anni ’50, offrono un ritratto accettabile dei riti convenzionalmente più diffusi tra i giovani.

Essi riconobbero nel ballo, nella conquista gestione del proprio denaro e nella scoperta della energia della loro età, la propria importanza sociale e di conse­guenza il potenziale commerciale da loro rappresentato,

A ciò si aggiungeva la ripetizione del quotidiano rito di ascolto della radio che aveva concorso a realizzare un’inconsapevole identificazione tra l’inaudita dinamica del messaggio (Musica/disco), la spregiudicatezza emotiva del mediatore (Disc-jockey), e la natura del mezzo (Radio).

In che cosa consistesse la innovazione introdotta dalla presentazione dei nuovi eroi  della radio in parte è già stato detto: si trattava, in sintesi, di privilegiare la
spontaneit
à del talento, rispetto alla immagine pubblica del mezzo radiofonico.

Attraverso la suggestione dei veloci cambiamenti di tempo, e delle accelerazioni ritmiche dei pezzi della scaletta, lo stile dei DJ venne arricchendosi dei neologismi onomatopeici più stravaganti, risultando perfettamente inseribili nei brevi spazi lasciati alla presentazione improvvisata dei dischi.

La personalità più adatta a rappresentare questo tipo di DJ fu sicuramente Murray the K (Kaufman), il cui destino venne favorito dalla lunga collaborazione con la famosa
stazione WINS.          .

Murray the K inventò, insieme al programmista Rick Sklar, quello slogan con il quale si apriva il suo programma sui pezzi del passato: era “A Blast from the Past“, una frase ad effetto divenuta di pubblico dominio al punto da essere stata riportata nel film “Apocalypse now“, durante gli annunci di Radio Saigon. (Sklar R., 1985)

Murray inventò anche il “Meussuray“, un linguaggio in codice che in breve i teenager americani adottarono al fine di rivendicare ulteriormente la loro affermazione
sociale, come membri facenti parte di una sottocultura. (Sklar R,, 1985)

“Questo codice era semplice quanto stupido e consisteva nel1’aggiungere un “aus” dopo la prima consonante o dittongo di una parola, o prima della parola se cominciava con una vocale. (…) Quando era in onda, (Murray) iniziava a fare grida senza senso che suonavano come vecchi inni indiani alla pioggia: ‘Ahbay, ahbay, ooh wah wah, ahbay ahbay, oohwah wah, koowee e summa summa. (…) L’ultima trovata creata da Murray sul finire degli anni ’50, consisteva nel1’osservare le corse sottomarine immagi­narie che lo stesso Murray collocava fantasiosamente lungo la zona di Plumb Beach, a Brooklin. (…) Era un idioma da decifrare in macchina, parcheggiata accanto ad una spiaggia. (Sklar R., 1985)

Oltre a Murray the K (Kaufman) va citato il nome di qualche altro grande intrattenitore radiofonico americano: Wolfman Jack ‘thè howlin’, ‘prowlin’, la cui notorietà va attribuita alla combinazione del ruolo di lupo marinaro (risatine sataniche, sussurri e farfugliamenti da invasato).con la tradizione del repertorio musicale pop più tradizio­nale e rassicurante: Bruce Morrow the fast-talking (dalla parlata rapida) un giovane venuto da Brooklin a lavorare alla stazione WINS, che lasciò interdetti funzionari della radio quando attaccò con il suo gergo a reazione, intercala­to periodicamente da un gorgheggio talmente intenso da provocare il delirio presso gli ascoltatori.

“Bruce  parlava  il  linguaggio  del1’esplosione   della generazione dei teenager.” (Sklar R., 1985)

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[1] Si definisce bene pubblico, “un bene che viene goduto simultaneamente da più soggetti (o da tutti i. soggetti) membri di una comunità data, senza che il godimento di un soggetto diminuisca quello degli altri; e senza che si possa escludere alcuno dal godimento” (Barles G,, 1979 citato in Grandi R,, 1980).

La natura di ‘bene pubblico’ del messaggio radiofonico ha rappresentato la fondamentale novità del mezzo rispetto, allo sviluppo della telegrafia con e senza fili, servizio per il quale l’utente sceglieva a chi inviare la propria comunicazione, e di conseguenza era disposto a spendere la tariffa stabilita per l’uso del mezzo,

Al contrario la nuova forma di comunicazione era pubbli­ca, e si rivolgeva a tutti indiscriminatamente.

In questo senso, le grandi, compagnie della comunicazione si convinsero ohe nessuno avrebbe mai versato una quota per ricevere un bene di pubblico dominio,

II modello statunitense si consolidò solo approfittando
della capacità di trasformare il pubblico degli ascoltatori
in gruppi differenziati di consumatori da vendere ai pubblicitari che stabilivano accordi con le stazioni per finanzia­re spettacoli allo scopo di attrarre “audience”, (Grandi R,, 1980)

 

[2] “Formato ” e un termine comunemente impiegato per indicare le prospettive e la grammatica utilizzate dai media per  realizzare  e  rendere  accessibile  il  contenuto  dei programmi trasmessi.

[3] Con l’espressione Indice di ascolto si definisce la proiezione della quantità di consumo radiotelevisivo per unità oraria, osservato in un intervallo di tempo sufficien­temente ampio (ad es. sei mesi).

In base al rilevamento dei dati del periodo considerato, può essere espressa una completa valutazione della percentuale di. rischio commerciale della specifica trasmissione. In un sistema commerciale, infatti, i risultati ottenuti dalla lettura degli indici di ascolto servono a stabilire le strategie’ di investimento pubblicitario sui canali da parte delle industrie sponsorizzatrici.

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