febbraio 2011 – Intervista ad Alfredo Capuano della NewMediaPress, Napoli

Continuano le mie incursioni giornalistiche all’interno delle realtà professionali che costituiscono e valorizzano la cosiddetta filiera del mondo dello spettacolo.

Questa intervista apre uno squarcio su un campo delicato, quello dell’ufficio stampa, oggetto spesso di speculazioni da parte di chi crede di potersi improvvisare promoter di questo o di quell’artista per sbarcare un lunario faticoso da colmare.

Intanto l’ufficio stampa non si occupa di promozione in senso stretto, ma può all’uopo affrontare l’obiettivo che in genere è demandato ad altre funzioni di un team artistico.

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Poi l’uffico stampa è….ma perchè devo raccontarvelo io cosa sia!

Vi passo Alfredo Capuano della NewMediaPress realtà con cui sono (dovrei dire orgoglioso, ma poi diventa piageria) felice di collaborare e di interfacciarmi per lavoro. Quindi prima di passarvi l’intervistato ringrazio Alph, Bob e Rosario per la disponibilità. Ho finito 🙂

Mauro Boccuni (MB): Ciao Alfredo e grazie per avere accettato di rispondere alle mie domande per il blog MUSICA|Portale di musica libera. Io ti conosco, so di cosa ti occupi e soprttutto qual è la tua funzione e il tuo contributo all’interno della New Media Press. Ti chiedo la cortesia di presentare te stesso, la New Media Press, i suoi servizi e i suoi componenti che ovviamente saluto 🙂

Alfredo Capuano (AC): Ciao Mauro! Non capita spessissimo, a chi fa questo mestiere, di essere oggetto e non soggetto dell’intervista, quindi ho accettato molto volentieri di rispondere alle tue domande. Anche se la tua prima domanda sembrerebbe banale, ti assicuro che non lo è affatto. Potrei risponderti “Sono Alfredo Capuano, giornalista musicale, addetto stampa, fotografo…” ma peccherei sicuramente di presunzione. Quindi più pacatamente ti rispondo “Sono Alfredo Capuano, provo a fare il giornalista, provo a fare l’addetto stampa, provo a fare il fotografo”. Il concetto è che, secondo me, non si smette mai di imparare: risponderò allo stesso modo anche tra quarant’anni. Quando si pensa di essere arrivati al punto, si smette di crescere ed è lì che si incontra il proprio limite. Lavoro e collaboro con varie testate giornalistiche, inseguo costantemente quella che è la mia passione, la fotografia, e sono uno dei tre componenti della NewMediaPress, ufficio stampa e comunicazione, fondata assieme ai miei due amici e colleghi, Rosario Scavetta (santo editore/direttore/presidentissimo) e Roberto “Bob” Basile. Ci occupiamo principalmente (ma non solo) di curare la comunicazione su web, carta, radio e tv di qualsiasi evento o gruppo musicale. Anche questa, fortunatamente, una passione divenuta lavoro.

(MB): Veniamo al dunque Alfredo di questa mia intervista ossia quale possa essere il contributo di un ufficio stampa per lo sviluppo di una efficace cultura della comunicazione di un’identità artistica o di un evento. Puoi spiegare ai nostri lettori innanzitutto perché scegliere la qualità di un ufficio stampa affermato non rappresenta MAI un costo ma un investimento?

(AC):  Nonostante ciò che si dica nelle tribune stampa televisive, sono un orgogliosissimo “inutilmente” laureato in Scienze della Comunicazione, quindi la mia risposta sarà faziosa e di parte. Scherzo, naturalmente, ma trovandomi nella posizione da “surfer”, per dirla alla McLuhan, posso affermare con decisione che dalla comunicazione (dalla “buona” comunicazione) dipende gran parte della  riuscita di un evento o quantomeno del suo posizionamento all’interno dell’opinione collettiva. Scegliere di affidarsi ad un ufficio stampa e non al classico “amico che conosce quel giornalista che lavora per quel giornale che in cambio di un accredito per la serata può farti uscire il trafiletto a bordo pagina” significa inanzitutto dare un’impronta di serietà a ciò che si propone. Significa assicurarsi che la notizia arrivi ad un pubblico quanto più vasto possibile, significa fare in modo che il proprio lavoro, i propri sforzi, siano raccolti da un bacino più ampio di persone che possano apprezzarli davvero, significa dare dignità a ciò che si è fatto e a ciò che si crede. Significa creare collegamenti, feedback, scambi di idee. Finchè si parla di qualcosa, quel qualcosa non è morto! Anzi, è fulgido, vivo, remiscelarsi. E’ un investimento perchè la comunicazione è ciò che ci mette in contatto con il fuori-da-sé e le cose fini a sé stesse non hanno molto senso. A che serve perdere un anno di vita per incidere il miglior album della storia se nessuno ne conoscerà mai l’esistenza?

(MB): Ora ti/vi voglio immaginare felici di avere acquisito un artista o un evento/una mostra di cui vi dovete occupare. Passata l’euforia, a parte le fasi principali in cui si articola il vostro lavoro,  qual è la vostra preoccupazione principale riguardo al progetto in generale?

(AC):  Molto banalmente la nostra principale preoccupazione è quella di riuscire a far contento il cliente. Meno banali sono le motivazioni. Non si tratta di una semplice questione lavorativa: molto spesso, per nostra indole, instauriamo un rapporto di amicizia con quello che nei primi dieci minuti si presenta come un estraneo, un “cliente” appunto, ma che dopo il primo caffè, o più di frequente la prima birra assieme, diventa un amico. Il nostro è uno sforzo collaborativo, non chiuso nelle quattro mura del nostro ufficio. Se un festival va bene, se ad una serata c’è il pienone, se un album viene apprezzato da molti, se il “cliente” è soddisfatto, significa che abbiamo svolto un buon lavoro. Ma soprattutto significa che c’è gente che ha ascoltato della musica, o magari che ha subito un cambiamento, seppur minimo, nel suo modo di intendere il concetto stesso di musica. Volevo giocarmi questa risposta con l’ultima domanda “bonus”, ma penso che sia più coerente inserirla qui. Molto, troppo, spesso sento dire “A Napoli non c’è mai niente di nuovo da ascoltare” oppure “Non esce un buon gruppo da troppo tempo”. Sono molto legato al mio territorio e credo sia una fucina di talenti artistici con nulla da invidiare alle più spesso idealizzate Londra (mio sogno di adolescenza, lo ammetto) e Berlino o, per restare nei nostri confini, Roma, Milano o Bologna. Riuscire a convincere una persona su mille che a Napoli si può fare musica, a Napoli ci sono cose “nuove” da vedere ed ascoltare, rappresenta per me (e per noi) uno dei principali obiettivi a cui tendere. La nostra preoccupazione, quindi, è non riuscirci, darla vinta al luogo comune, vera nemesi dell’arte, in ogni sua veste.

(MB): Che cosa può rendere per un US un progetto di successo e che cosa può renderlo un episodio da catalogare come “un’esperienza”?

(AC):  Parto dal presupposto che ogni episodio, per noi, è un’esperienza. Vada bene o vada male c’è sempre qualcosa in più che si poteva fare e che non abbiamo fatto. E’ semplice evoluzione, semplice legge dell’effetto. Credo fortemente che un iter preciso e sicuro da seguire non esista e non essere in continuo mutamento rappresenti quello che è stato il medioevo per l’avanzata tecnologica. Ogni occasione, ogni progetto che seguiamo ci insegna moltissime cose. La multisfaccettatura di ogni singolo individuo, o gruppo di individui, con cui ci ritroviamo a lavorare ci indica (o ci impone) il giusto modo di fare. Ma è più un canovaccio che un semplice algoritmo. Il nostro miglior progetto di successo è il prossimo che seguiremo.

(MB): Tu ti occupi anche di altre attività strettamente legate alla valorizzazione dell’arte, della musica in particolare quella dal vivo. Come arricchiscono tutte queste esperienze la tua vita professionale alla NMPress?

(AC):  Come dicevo prima sono un “surfer” (come moltissimi miei altri colleghi) della musica. Non suono in un gruppo, non sono un “semplice” addetto ai lavori. Fortunatamente riesco ad andare ai concerti senza carta e penna e godermi semplicemente una buona serata. Ed ogni volta che torno da uno di questi sono ricaricato e convinto che, alla fine di tutto, la musica (ed in particolare quella dal vivo) è ciò che davvero riesce ad accomunare tutti i rappresentanti della razza umana. La sola idea di muovermi in questo mondo mi da la forza di resistere a 48 ore di veglia lavorativa ad un festival o ad una qualsiasi levataccia notturna in ufficio. Escludendo il lato prevalentemente emotivo/emozionale, la mia esperienza in itinere da fotografo (o da pseudo tale) e da giornalista mi porta a vedere con occhio più critico chi è sul palco. Non sono un “indie-snob”, assolutamente, ma così come trovo giusto che tutti, e dico tutti, possano provare a fare musica, trovo anche naturale che non tutti siano fatti per riuscirci. Questioni di gusto, certamente, ma come dicevo poco prima, il feedback del pubblico è di pari importanza (se non maggiore) della propria convinzione.  E’ stato piacevole, però, riuscire a dare qualche dritta a chi, in modo informale, magari durante un concerto, faceva una cosa che ormai sembra essere purtroppo sempre più fuori moda: chiedere un semplice, diretto, parere.

(MB): Ti invito a rivolgerti ai tanti gruppi che sia io che te seguiamo per professione e passione. Dal punto di vista di un giovane, ma “rodato” professionista, spiega perchè non devono commettere “quel” particolare errore e dall’altra invitali a sbagliare, ma senza farsi troppo male!

(AC):  Questa è la domanda più difficile. Non penso di essere nella posizione di spiegare alcunchè a chi, magari, si trova in questo ambiente da più tempo di me. Più che la teoria, per me, conta l’esperienza. Posso però provare a dare un consiglio che non si esaurisce solo in questo ambito, ma che secondo me abbraccia anche la vita di tutti i giorni: siate umili, chiedete spiegazioni, fate tesoro di ciò che vi viene detto, senza dare in escandescenze, non credetevi mai i migliori, ma provate ad esserlo sempre. Accettate le critiche, in particolar modo quelle negative, senza innervosirvi. E se non riuscite a mantenere la calma, non è mai troppo tardi per chiarirsi. Mi sbilancio un po’ ed entro nel particolare. Il palco non è un piedistallo ma un trampolino e la rete siamo noi: pubblico, fotografi, giornalisti…

(MB): Se non ti ho chiesto qualcosa che tu ritieni utile dire, questa è la mia ultima domanda a tua disposizione USALA!

(AC):  Ho pensato a tutte le risposte e, come lettore, mi è venuta la sacrosanta domanda: “D’accordo, l’amore per la musica, la fotografia, la comunicazione e tutto il resto… se è solo questo, perchè vi fate pagare?”. E’ una domanda giusta, anzi giustissima. La mia risposta è molto semplice e diretta: un musicista innamorato del proprio lavoro, può permettersi di suonare sempre gratis? Siamo riusciti a ritagliarci uno spazio lavorativo in un campo che amiamo profondamente e, come ogni persona innamorata, tendiamo a focalizzare tutte le nostre energie verso l’oggetto amato e per farlo non possiamo occuparci anche di altre fonti di sostentamento. O questo fatto al meglio delle nostre capacità attuali, o varie cose fatte in maniera mediocre. Abbiamo scelto la prima.

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