2 a.m. – The End. The Start., 2011

2 a.m. - The End. The Start, 2011

2 a.m. – The End. The Start, 2011

Non è una recensione, non  credo nelle recensioni. Le ho sempre trovate degli esercizi retorici senza senso.

Questi sono dei commenti personali fatti durante e dopo l’ascolto dei pezzi. E a conclusione del lavoro. Cominciamo.

L’album che ascolto è l’EP dei 2a.m. del 2011 The End. The Start

 

Un risveglio all’alba dopo un sonno trascorso a rotolarsi tra incubi e massaggi dell’inconscio. La realtà del tiepido sole ci accoglie mentre il corpo riprende consapevolezza di sè e i sensi riacquistano i propri spazi e le proprie posizioni.

La testa dondola sonnolenta e pigra mal disposta a cogliere la bellezza disegnata dall’ordito strumentale ricavato dall’impasto dei cori, dell’arpeggio alla chitarra elettrica e la ritmica dell’acustica. “I cannot cry” è la ballata che apre il primo lavoro dei 2 a.m.

Al terzo ascolto del brano emerge la sensazione che la musica per certi generi musicali assomigli sempre di più al linguaggio dei videoclip che il contrario o nel caso più ambito ad una loro integrazione estetica. D’altronde, ma non posso dirlo per la band, le generazioni cresciute con internet e i SN dal 2005 in poi cioè You Tube, videoascoltano dal più grabde archivio mai creato fin dalla biblioteca di Alessandria.

E’ un bene. Il rischio è quello che volersi distinguere significa farlo all’interno di un sistema semantico autoreferenziale.

Ma intanto l’EP prosegue con il secondo pezzo, “PG“, un rock sostenuto caratterizzato anzi è meglio dire impreziosito dalla presenza di una tastiera che lascia cadere perline di suoni mentre la presenza massiccia del combo rock impone la sua marcia. Bowie avrebbe sorriso. Di piacere e con affetto.

Terzo pezzo “Love me or leave me” ed è chiaro che la band (sono un duo, ma suonano come una band) potendo contare su alcune evidenti abilità – un batterista capaci di raffinatezze, al tempo stesso solid rock, un ottimo senso della produzione della ritmica, il senso della ricerca timbrica sulle chitarre che per una vota non sono abbandonate al loro consueto “epico” Suono – dicevo potendo contare su un’offerta ampia di suoni, spinga il motore verso sentieri già battuti dalla classicità ma con il coraggio di chi lo ricanta e lo risuona con proprietà. “Love me or leave me” occupa per posizione nella track list dell’EP e per sua natura il ruolo che un ascoltatore si attende da una proposta, una prima proposta di un giovane organico rock cresciuto con tanto brit rock nelle orecchie (almeno così sembra, poi spesso una volta intervistati mi dicono” ma no, io ho sempre ascoltato Manu Katche e Beniamino Gigli” per dire…), ma forse oserei dire con tanta sensibilità per una cultura musicale inglese così ricca e creativa fino ai giorni nostri da non potere essere incasellata solo nella categoria del brit!

Quarto pezzo “A new day” e mi sento accarezzare dalle stesse atmosfere di certe cose dei Beach Boys, tipo “The warmth of the sun”. Vorrei delle voci più calde ma il timbro è quello 🙂 Una ballata che sembra seguire il filone del dolce rotolarsi nei lettoni nelle calde giornate assolate, in quei risvegli infiniti fatti di eterni baci da Mulino bianco e video clip alla James Blake.

Quinto pezzo “Format ME” e siamo nella tiepida temperatura di una radura boschiva in compagnia di una compagnia di amici e delicate giovanette con l’immancabile filo d’erba tra i denti, perse per il giovane cantante. Mi accorgo che sto calando tutte le canzoni in una giornata estiva agostana dove tutto inzia e fisce nell’eternità dei sensi appagati dal solo gusto di vivere.

Il diario in formato di EP – un lungo EP per dire la verità, ai miei tempi si trattava di quattro pezzi. E’ un doppio EP allora 🙂 – è giunto al penultimo pezzo “You’re more (than who you’re told to be)”. Una ballata rock con una coda con un bel patchwork dei caos alla Cage imitati dai “bimbi” del pop ’60 prima della ripresa del pezzo. Insieme a “Love me or leave me” sembrano essere i pezzi che io passerei per la radio, se come effettivamente E’, avessi delle trasmissioni.

Trying” chiude con una bella armonizzazione finale un lavoro che ha i suoi punti forti nella abilità produttiva, nella tenuta di regia complessiva anche se qualche momento di ripetitività si avverte. Soprattutto nella debolezza delle idee compositive, tutte orientate ad una forma di impressionismo bucolico che sembra accompagnare l’urgenza di immagini che mancano di fatto..Ho apprezzato l’uso consapevole di una “speziatura” attraverso l’elettronica con cui il duo degli 2 A.M. ha saputo arricchire e vivacizzare un organico di tendenza “classica!.

MB settembre 2012

 

 

 

 

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